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Il “Pandoro Gate” tra Balocco e Ferragni: da Greenwashing a Pinkwashing

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Febbraio 27, 2024

Com’è nato il caso Pandoro Gate?

Impossibile non aver sentito parlare nell’ultimo periodo del “Pandoro Gate” e di Chiara Ferragni.

Ma partiamo dall’inizio, quando nel 2022 è nata la collaborazione tra l’azienda dolciaria Balocco e l’influencer Chiara Ferragni i quali hanno fatto uscire in collaborazione il pandoro chiamato “Pink Christmas”.

Il tutto aveva la premessa di essere l’unione di un’attività benefica con un’attività commerciale con lo scopo di aiutare i bambini ricoverati all’ospedale Regina Margherita di Torino, con questa unione l’intento era quello di far passare il messaggio che quanti più pandori si riuscivano a vendere e più si poteva contribuire alla causa.

La scoperta del “vaso di pandoro”

Questa vicenda non è mai stata ben chiara dall’inizio, già molti esperti erano titubanti e a distanza di un anno è avvenuta che non era stata fatta nessuna donazione ma che Balocco, sei mesi prima di dare inizio alla campagna pubblicitaria, aveva già donato 50 mila euro all’ospedale Regina Margherita.

Dopo questa scoperta si è aperto un vero e proprio caso mediatico, avendo costruito, Chiara Ferragni, il suo impero attraverso il mondo dei social e della comunicazione.

Dopo le accuse di truffa aggravata e di pubblicità ingannevole ci si aspettava, dando per scontato delle sue doti comunicative, una reazione diversa ma soprattutto preparata a sapersi destreggiare tra le accuse e le critiche.

L’influencer invece si è rinchiusa in un silenzio finché, insieme alla sua agenzia di comunicazione, non ha provato a prendere le redini della situazione rilasciando un video dove ammette un “errore di comunicazione”.

Quali sono stati gli errori di comunicazione?

L’errore principale è stato quello della tempestività, in quanto l’influencer ha impiegato diversi giorni nel rispondere alle accuse pubblicando un video di ammissione di colpa e di scuse.

Lo sbaglio è stato proprio quello di non intervenire nell’immediato cercando di spiegare, nel modo più semplice e chiaro possibile, cosa fosse successo dal suo punto di vista, scusandosi dell’accaduto e cercando di far capire come avrebbe posto rimedio alla situazione.

L’ammissione da parte di Chiara Ferragni di “un errore di comunicazione” è il secondo sbaglio commesso.

Questo è l’esempio di come una semplice frase possa creare ambiguità e confusione perché in questo modo è come se facesse intendere di non aver commesso errori nei fatti ma solo nell’unire un’attività commerciale a un’attività benefica quando, essendo lei un personaggio pubblico, era scontato dovesse comunicare lo scopo di questa unione tra lei e Balocco, se no non avrebbe avuto senso la collaborazione tra i due.

Da quest’ultimo errore ci possiamo collegare al successivo ovvero quello della trasparenza.

Quando si è travolti da un cosiddetto “crisis management” la prima regola fondamentale è proprio quella di essere trasparenti nelle comunicazioni che si fanno, soprattutto quando bisogna ammettere di aver sbagliato e non cercare di nascondersi dietro a “un errore di comunicazione”.

Da questi errori si può capire come l’influencer non si aspettava minimamente che si venisse a creare un caso mediatico e qua c’è l’ennesimo errore perché normalmente quando ci si affida a delle agenzie di comunicazione si ha, quasi sempre, pronto un piano di azione nell’eventualità che le cose non vadano nel verso giusto.

Questo non è stato il caso e lo abbiamo potuto capire attraverso il primo errore commesso da Chiara Ferragni, solamente dopo l’accaduto ha avuto modo di cercare di capire come agire e soprattutto come farlo nel modo migliore per limitare i danni che già si stavano espandendo.

Arrivati fino a questo punto vi starete chiedendo come mai stiamo trattando questo caso.

Tutto quello che è successo è stato definito come una pubblicità ingannevole ed è proprio qui che, analizzando il caso da vicino abbiamo notato la somiglianza con il greenwashing e da qui abbiamo iniziato a definirlo un caso di pinkwashing.

Come sono collegati il greenwashing e il Pandoro Gate?

Il pinkwashing è a tutti gli effetti una strategia di comunicazione e di marketing utilizzata per far leva sull’entità benefica finale e far comprare il numero maggiore di pandori per aumentare le donazioni ma in realtà, quella che doveva essere l’obiettivo finale, si è tramutato in un tentativo di andare a togliere l’attenzione dalla donazione che era già avvenuta prima ancora che partisse la promozione del pandoro “Pink Christmas”.

Associare questi due termini alla fine non è sbagliato, parlando di questo caso isolato lo scopo finale è proprio quello di cercare di far pensare o di dimostrare alle persone che, chi sta promuovendo un servizio o un prodotto, si sta preoccupando dei temi trattati quando alla fine la realtà è che il frutto di questa pubblicità ingannevole è solamente quella di arrecare ulteriori danni all’attività e ai temi di cui dovrebbero occuparsi.

Il fine ultimo è sempre quello di attenzionare le persone a stare attenti, a quelle aziende o a quelle persone, e di cercare di non cadere nell’inganno. Per evitarlo è molto importante essere consapevoli, cercare informazioni che possono essere verificabili e controllare sempre che le dichiarazioni e i messaggi rilasciati siano supportati da azioni concrete.

Cos’è il greenwashing?

Si tratta a tutti gli effetti di una strategia di comunicazione e marketing adottata da organizzazioni, imprese o istituzioni per cercare di dimostrare il loro impegno sotto il profilo dell’impatto ambientale con l’obiettivo di andare a distogliere l’attenzione dagli effetti negativi che producono e che provocano all’ambiente.

Si possono riconoscere le aziende che attuano il greenwashing tramite:

  • L’uso di un linguaggio vago oppure tecnico in modo da renderlo poco chiaro o fraintendibile
  • Vengono dichiarati per certificati dei dati e delle informazioni quando in realtà non sono stati accreditati
  • Vengono utilizzate etichette e affermazioni false
  • Non ci sono informazioni che vanno in supporto a quanto dichiarato

Per approfondire l’argomento clicca qui

La direttiva green claim

Non si può parlare di greenwashing senza citare la direttiva green claim, il quale scopo primario è quello di combattere tutte le informazioni ingannevoli delle aziende.

La direttiva si riferisce proprio ad affermazioni che possiamo trovare sulle etichette di prodotti, campagne pubblicitarie e comunicazioni che sembrano suggerire la riduzione ambientale di un prodotto ma non sempre quello che leggiamo è autentico e affidabile.

L’obiettivo è quello di permettere ai consumatori o ai clienti di avere a disposizione delle informazioni attendibili e soprattutto verificabili e confrontabili.

Riuscire a coniugare la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico con la crescita del business è la sfida di tutte le aziende. Vuoi sapere come? Contattaci.

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