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Visione d’insieme sul 2024: che anno è stato per il gas in Italia

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Novembre 14, 2024

Il 2024, visto ancora in corso d’opera ma a consuntivo dei primi tre trimestri, rappresenta per il sistema del gas naturale italiano un’annata ambivalente rispetto ai fenomeni epocali messisi in moto nel 2022 e nel 2023, e cioè:

  • l’abbandono repentino e traumatico del gas russo, principale fornitore del paese, con sostituzione via Gnl e via punti d’ingresso meridionali;
  • la forte riduzione della domanda, dovuta alle spinte concorrenti della decarbonizzazione della generazione elettrica, del maggior efficientamento e della contrazione macroeconomica.

Sul primo versante l’anno in corso rappresenta un moderato – ma non irrilevante – ritorno alle origini, mentre sul secondo versante assistiamo, se depurata dai rumori di fondo della stagionalità, alla conferma o addirittura all’accentuazione del trend.

FIG. 10.6 – Offerta mensile di gas in Italia suddivisa per origine

Relativamente ai bacini potenziali di maggior problematicità in senso rialzista (sui prezzi), le analisi di fine 2023 esaltavano sull’anno incipiente due dinamiche che non si sono poi riverberate sui consumi (e sui prezzi), almeno non con la virulenza temuta:

  • una percepibile ripresa economica dei settori manifatturieri a più alta intensità gasivora ed elettrivora;
  • lo strozzamento del mercato internazionale del Gnl, vincolato da un cap sulla totalità dell’offerta disponibile – a sua volta connessa a investimenti latenti e tardivi negli anni 2018-21 – e sollecitato, in teoria, da una più robusta ripresa dei consumi concorrenti in Asia orientale.

In merito a questo secondo aspetto, è vero che l’avvio di una “terza ondata” di nuovi investimenti nel Gnl, dovuta ai prezzi estremi da fine 2021 in avanti, deve ancora materializzarsi in impianti in attività – e lo farà probabilmente dalla fine del 2025 in poi, con più di due trimestri di ritardo sulle previsioni. Tuttavia, per il momento, non si sono create condizioni di corto d’offerta tali da innescare una corsa al rialzo tra Asia ed Europa per aggiudicarsi l’ultimo carico spot; anzi, tra stoccaggi per il prossimo inverno praticamente pieni e decollo delle rinnovabili la coperta sembra tutto fuorché corta.

Dal lato più prettamente politico-diplomatico o, per meglio dire, politico-militare, invece, il mercato del gas ha dato e sta dando prova di un coefficiente elevato di vulnerabilità a un turbinio di eventi drammatici che, in altre circostanze e altri anni (meno anestetizzati alla violenza endemica?), avrebbero già potuto far precipitare la situazione dei prezzi.

Tali stimoli hanno invece una traduzione sulle quotazioni che è ben meno immediata e meno decifrabile di quanto ci si attenderebbe, guardando alle ondate di panico del 2021 e del 2022. Al contrario, vi sono state in buon numero settimane di calma (molto relativa) dal lato dei fondamentali in cui comunque le quotazioni mettevano in fila risalite ripide e surriscaldate, come a giugno e ad agosto. Il motivo va rintracciato probabilmente nella crescente finanziarizzazione del mercato del gas, di cui si parlerà nell’ultimo paragrafo.

La distruzione della domanda, un meccanismo ancora in moto

In molti si aspettavano che – in Europa come altrove – il 2024 avrebbe segnato la definitiva ripartenza dei consumi energetici rispetto al triennio terribile ricompreso tra la pandemia da Covid-19 e l’invasione russa dell’Ucraina con conseguente crisi generalizzata dei prezzi.

A maggior ragione tali aspettative si consolidavano al principio del primo allentamento monetario da parte di Bce e Federal Reserve dopo quattro anni di politiche restrittive, per quanto il costo del denaro rimanga tutt’ora storicamente sostenuto.

Se per l’elettricità il quadro dà maggiormente adito a dubbi, per il gas naturale il responso è univoco: i consumi stanno continuando cumulativamente a flettere, proseguendo sul sentiero discendente intrapreso nel secondo trimestre del 2022. Nel 2023 la domanda totale di 35 stati europei ha lasciato per strada 113,4 miliardi di metri cubi rispetto al massimo storico del 2021 (591,3 miliardi: -19,2%). In Italia la flessione è stata di -14,4 miliardi di metri cubi rispetto alla domanda record di tre anni fa (74,1 miliardi), segnando quindi il -17,5%.

Decarbonizzare per eterogenesi dei fini: la deindustrializzazione/rilocalizzazione degli impianti produttivi e la penetrazione di nuova capacità rinnovabile si confondono in proporzioni quasi impossibili da districare. A fine 2023 i prelievi della grande industria (diretti SNAM) risultavano infatti calati del -18,2%, quelli delle centrali termoelettriche del -18,4%, mentre il resto delle utenze, allacciate alle reti di distribuzione (quindi industria indiretta, domestici e servizi), del -21%, complici due inverni consecutivi decisamente miti.

FIG. 10.7 – Andamento dei consumi di gas in Italia suddivisi per categorie d’utenza

FIG. 10.8 – Andamento dei consumi totali di gas in Europa (2017-23)

Il 2024 non ha mostrato finora spunti solidi per un’inversione del trend descritto. Secondo l’Iea la domanda globale di gas toccherà sì i 4.200 miliardi di metri cubi nel 2024, un record assoluto superiore del +2,6% al 2023, ma per la gran maggioranza tale risultato si dovrà alla metanizzazione dei consumi in Asia orientale e sudorientale, mentre le proiezioni sulla domanda europea vedono un consumo praticamente piatto o in marginalissimo aumento anno su anno.

Per quanto riguarda l’Italia, i prelievi degli industriali diretti registrano cenni di modestissima risalita negli ultimi mesi ma “a singhiozzi” (alternando, cioè, aumenti tra il +3% e il +5% sul 2023 e ritorni in pari o ulteriori diminuzioni). La proiezione a fine anno prevede un magro +1,2%. Quella riguardante le riconsegne alle reti di distribuzione si orienta al momento per una sostanziale immobilità rispetto all’anno scorso; tuttavia, molto dipenderà dal meteo.

È invece la destinazione termoelettrica quella la cui ulteriore erosione è già scritta: probabilmente per altri -700 milioni di metri cubi dal minimo del 2023 (che però aveva goduto anche di un mese di novembre eccezionale per produzione idroelettrica). Del resto, nei primi sei mesi dell’anno la produzione elettrica italiana da fonti rinnovabili è aumentata del +27,3% rispetto al 2023, superando per la prima volta la produzione da fonti fossili, che ha registrato una flessione del -19% rispetto allo stesso periodo del 2023. Dopo un’estate torrida che ha costituito una temporanea inversione di tendenza (+21% sull’anno la domanda termoelettrica ad agosto), da metà settembre sembra che tale dinamica si stia riproponendo con forza.

Va detto poi che l’impatto di eventuali ondate di gelo sui consumi per riscaldamento viene comunque mediato da un maggior efficientamento dei processi industriali, dalla sostituzione del riscaldamento a gas con pompe di calore e da un miglior isolamento termico degli edifici (nonché, se vogliamo, da una maggior consapevolezza e parsimonia delle abitudini degli utenti – fattore, questo, senz’altro ben meno ponderabile).

Le estreme fragilità del “nuovo” mercato: il conflitto russo-ucraino

Lo status quo sul flusso di gas russo residuo dopo i tagli del 2022 è rimasto, fatto impronosticabile dai più, inalterato alla data in cui si scrive (5 ottobre), nonostante la sempre viva violenza delle operazioni militari russe, da Kharkiv al Donbass.

Ancor più impronosticabile, il flusso è sopravvissuto finora anche all’imprevista offensiva ucraina in territorio russo di inizio agosto, nell’oblast di Kursk, non ancora contenuta efficacemente dall’esercito russo (si tratta del primo “sconfinamento” da parte di Kiev a oltre due anni dall’inizio della guerra). Clamoroso – e simbolico – anche il fatto che gli ucraini abbiano occupato la cittadina di Sudzha, dove è sita la centrale di trasmissione (l’unica ancora funzionante dopo lo stop a Sokhranivka a maggio 2022) per il gas russo che ancora arriva nell’UE da est. Per ora sembra che le parti non abbiano l’interesse a sospendere i flussi, visti gli introiti notevoli per entrambe legati al transito e alla commercializzazione di tali volumi, ma la situazione militare rimane molto delicata e volatile. Con l’occupazione militare Gazprom avrebbe ricevuto un vero e proprio assist giuridico per poter dichiarare force majeure, senza però ritenere di farlo.

La scadenza dell’accordo di transito del gas attraverso i gasdotti Brotherhood-Sojuz, dal territorio russo a quello UE (slovacco e ungherese) attraverso quello ucraino, potrebbe portare alla necessità di sostituzione di un quantitativo oscillante tra i 6,5 e i 7,5 miliardi di metri cubi, basandosi sui flussi degli ultimi mesi – o meglio, sulla quota parte consumata in Slovacchia e in Austria senza arrivare sul mercato finale italiano (ca. 3,2 miliardi di metri cubi di gas russo consumati da Bratislava e 5,7 da Vienna).

Complica il quadro, però, il netto aumento della quota di import italiano su tale rotta avvenuto proprio negli ultimi mesi: al valico di Tarvisio è entrato gas naturale per il 10% del nostro fabbisogno (year-to-date), rispetto al 4% del 2023.

Com’è noto, il contratto di transito che ancora lega come parti contraenti Mosca e Kiev scadrà il 31 dicembre: in caso di repentine chiusure dei gasdotti, il sistema italiano dovrà essere pronto a imboccare nuovamente il percorso di diversificazione completa lasciato sospeso, senza potersi astenere nel frattempo dal venire in soccorso delle necessità dei vicini.

FIG. 10.9 – Panoramica dei gasdotti europei interessati dalla cessazione del transito di gas Russo via Ucraina

FIG. 11.10 – Confronto tra i flussi di gas Russia-EU via Ucraina e l’ingresso di gas a Tarvisio

Già per molti mesi del 2023 l’apporto russo al mix italiano, come si evince dalla Figura 11.1, si era ridotto al lumicino: si trattava però di mesi senza manutenzioni sulle altre rotte e con relativa abbondanza di gas liquefatto.

Anche oggi, chiaramente, la più naturale ancora di salvataggio proverrebbe dal Gnl: I terminali di rigassificazione in Italia, Polonia, Lituania, Germania, Croazia, Grecia e Turchia importerebbero i volumi persi, da inoltrare anche alle reti centroeuropee. Per Vienna la soluzione più naturale prevederebbe l’aumento dell’import di gas dal confine tedesco (quindi di gas norvegese o Gnl rigassificato sul Mare del Nord). Dal Mediterraneo, più prossimo e capiente del Baltico in quanto a capacità di rigassificazione, l’Italia dovrebbe comunque riuscire ad approvvigionarsi (secondo stime) di ca. 3,75 miliardi l’anno da ridirigere verso nord-est, in uscita da Tarvisio. Da sud, via Balcani, potrebbe provenire in reverse-flowing anche gas dell’Azerbaijan, dirottato dalla linea Tanap-Tap, mentre il gas russo continuerebbe comunque a scorrere verso l’Europa centrale attraverso un accresciuto utilizzo (ca. +2 miliardi di metri cubi) dei percorsi alternativi: principalmente TurkStream, che già trasporta attraverso il Mar Nero, la Turchia europea e il territorio bulgaro il metano di Mosca fino in Ungheria e in Serbia (oltre che nella Repubblica Serba di Bosnia).

In merito al contributo italiano sull’export sud-nord, il 2024 (finora) parrebbe costituire un precedente sinistro per i gestori mitteleuropei. Se, infatti, i precedenti due anni avevano stabilito inediti record in quanto ad export di volumi fisici dalla penisola, nei primi dieci mesi dell’anno tale corso si è letteralmente prosciugato, diminuendo di oltre il -90%. Giova comunque ricordare che dal 1° ottobre la capacità tecnica di trasporto offerta da SNAM in direzione Arnoldstein sulla TAG (ItaliaàAustria) passerà da un massimo di 6,7 a 9,1 miliardi di metri cubi annui. Nel 2023 il dato fisico – senza precedenti e irripetuto – si è comunque fermato a 1,25 miliardi.

FIG. 10.11 – Andamento mensile dei volumi di gas esportati dal territorio italiano (2017-to date)

Non è agevole individuare un’unica ragione dietro al tracollo dell’export e al contemporaneo ritorno della quota russa in doppia cifra. Sicuramente hanno influito le pesanti manutenzioni (dal terminal di OLT Livorno alle decurtazioni degli invii di gas dell’algerina Sonatrach a settembre, dal fermo di Tap ad agosto all’indisponibilità del terminal della Spezia-Panigaglia), nonché il generale disseccamento dei già modestissimi arrivi dalla Libia (per ragioni politiche: il paese nordafricano rimane drammaticamente instabile). A ogni modo, ci si è sempre mossi in una situazione dei fondamentali confortante, con gli stoccaggi minerari arrivati mezzi pieni a fine inverno 2023-24 e già ricolmi oltre il 90% di legge a metà agosto. Questo dato lascia quindi di fronte a un inquietante quesito: si è trattato (solo) di un mero aggiustamento commerciale, legato ai prezzi e alle manutenzioni, in situazione di offerta adeguata? SNAM avrebbe di che supplire austriaci e contigui, nel bel mezzo dell’inverno, se da est non arriverà più nemmeno una molecola?

Anche l’apporto del nuovo rigassificatore in via di installazione a Ravenna sarà incerto, sia in quanto a volumi disponibili sul mercato internazionali che in quanto alle tempistiche di ramp- up delle operazioni commerciali. Si parla di aprile 2025: in ritardo, cioè, su eventuali problematiche di rilievo che dovessero sorgere durante il prossimo inverno.

FIG. 10.12 – Totale annuo del fabbisogno di gas italiano suddiviso per origine (2017-24 to date)

Le estreme fragilità del “nuovo” mercato: il conflitto mediorientale

Ci riferiamo innanzitutto alle ultimissime settimane. Israele ha sostanzialmente annichilito la potentissima milizia sciita libanese degli Hizbollah, cominciando con l’esplosione controllata di oltre 3.000 device di telecomunicazione in mano (letteralmente) ai miliziani e culminando con l’eliminazione, nei bunker a decine di metri al di sotto di Beirut, del leader supremo Hassan Nasrallah e dell’intera catena di comando del gruppo – e sfociando nientemeno che nell’invasione via terra del sud del Libano (oltre la linea di demarcazione dell’Onu) da parte dell’esercito israeliano, mentre continuano i bombardamenti in tutto il paese (soprattutto nella capitale).

La risposta dell’Iran non si è fatta attendere: a fronte degli effetti imprevedibili di un’implicita ammissione di impotenza in caso di mancata reazione alla distruzione dell’alleato-chiave libanese, il regime degli ayatollah ha colpito direttamente dozzine di obiettivi (per lo più militari) in tutto il territorio israeliano, causando danni ma non vittime. A differenza dell’analogo attacco iraniano di aprile (seguito al bombardamento del consolato di Teheran a Damasco), preannunciato in maniera più esplicita, i nuovi bombardamenti minacciano ora di porre Israele e Iran in rotta di collisione diretta. Leggasi: un conflitto regionale su larga scala in Medio Oriente, superiore per implicazioni internazionali alla guerra civile siriana e all’invasione statunitense dell’Iraq.

Il prezzo del gas come ha reagito a questi sviluppi? È lecito dubitare se di reazione si possa parlare, finora, con aumenti giornalieri sui prezzi spot e a termine non univoci e comunque inferiori al +1% o +1,5%. Sicuramente la cosa avrebbe destato stupore un anno fa: anche dimenticandoci per un attimo del potenziale “distruttivo” sui prezzi del greggio insito in un blocco dei flussi di greggio dai paesi del Golfo attraverso lo stretto di Hormuz, non è forse il Qatar fornitore di primaria importanza di Gnl per l’Europa, secondo in Europa e primo in Italia?

FIG. 10.13 – L’importanza del Qatar all’interno del paniere di provenienze per il GNL importato dall’Italia (il dato del 2024 è parziale per i primi nove mesi)

L’annichilimento di Hizbollah nel Libano e di Hamas a Gaza (con l’estremo indebolimento degli Houthi nello Yemen) è un capovolgimento geopolitico di portata decennale, in grado di mettere spalle al muro il regime di Tehran. Lo Stato degli ayatollah, s’è sempre creduto, non si sarebbe certo avviato verso una minaccia esiziale per la sua sopravvivenza senza esercitare il proprio potere ricattatorio sui flussi di idrocarburi. Ebbene, sembrerebbe che quanto accade si possa conformare al copione di worst-case scenario, con Netanyahu in persona a parlare apertamente di regime change in Iran e l’amministrazione (uscente) Biden a lasciarsi sfuggire che Tel Aviv e Washington starebbero “discutendo” gli obiettivi potenziali di un attacco all’Iran, incluse le infrastrutture petrolifere.

L’opinione corrente è quella per cui un qualsiasi attacco diretto al sistema energetico iraniano, specie se supportato apertamente da Washington, renderebbe a lungo andare qualsiasi asset energetico mediorientale un potenziale obiettivo militare. I prezzi non si stanno (ancora) conformando a una traiettoria di escalation apparentemente irrefrenabile.

Le “scorribande” dei fondi d’investimento sul Ttf

È solo ad agosto che l’Autorità dell’UE per il monitoraggio dei servizi finanziari (Esma) si è svegliata dal proprio torpore e ha abbassato il limite superiore alle posizioni finanziarie che possono essere detenute sul Ttf, citando il massiccio incremento del trading sui derivati degli ultimi mesi mentre il sottostante fisico, al contrario, si contraeva (portando così a lievitare il churn rate degli scambi, ovvero il rapporto tra metri cubi “di carta” passati di mano in mano di seller in buyer e metri cubi effettivamente consumati).

Tuttavia, nel dettaglio i nuovi limiti prodotto per prodotto erano deludenti: secondo alcune analisi sarebbe tutt’ora possibile per un singolo attore ammassare posizioni fino a 6 miliardi di euro sui vari prodotti (!); tutti i trader attivi sul Ttf potrebbero ancora detenere posizioni nette aggregate di valore superiore al Pil del Brasile (!) e mantenersi compliant secondo l’Esma.

Ad agosto si è toccato un massimo storico di 250 TWh di gas detenuto dai fondi d’investimento come posizioni nette lunghe, più che nelle settimane che precedettero l’invasione russa su Kiev, con le armate del Cremlino che si ammassavano oltre confine. In assenza di concrete motivazioni per un posizionamento rialzista di tali dimensioni, negli stessi giorni si stavano accumulando posizioni nette corte da record da parte dei compratori fisici, che si “giocavano” un robusto rientro dei prezzi – in parte avvenuto poi a settembre.

Persino Mario Draghi, nel report commissionato dall’uscente Commissione Von der Leyen I (in attesa della Von der Leyen II), metteva in guardia (pur in un contesto di apologia della deregulation) sull’eccessiva assunzione di posizioni speculative nei mercati dei derivati energetici, indicandolo tra i fattori di rincaro dei costi energetici e di scarsa competitività internazionale dell’industria manifatturiera nell’UE.

Un episodio esemplificativo della pericolosità delle speculazioni è quello riportato da Reuters lo scorso 20 settembre circa la notizia, lanciata e poi ritrattata da un’agenzia di stampa ucraina, di un accordo tra Ucraina e Azerbaigian per il transito del gas verso l’Europa dopo il 1° gennaio 2025 (quando scadrà l’accordo con la Russia), notizia che in pochissimi minuti (flash crash) ha destabilizzato il mercato energetico

La reazione incontrollata, con tratti di panico da short selling, lascia parecchi interrogativi (come del resto li lasciava il rally di inizio agosto) sui meccanismi decisionali di questi operatori, sul tipo di analisi a cui delegano il proprio posizionamento e sull’eventuale, improvvido affidamento al trading algoritmico.

Potrebbe rendersi necessario erigere un argine contro gli ‘speculatori’ perché l’afflusso massiccio di capitali (per lo più di provenienza statunitense) porterà maggiori scommesse finanziarie sul mercato virtuale del gas (Title Transfer Facility, TTF), producendo con ogni probabilità ulteriori volatilità e possibili aumenti di prezzo difficilmente prevedibili attraverso i tradizionali strumenti di analisi.

Teoricamente la loro azione dovrebbe tradursi in una migliore reattività dei prezzi a scendere e a salire; tuttavia, nel 2024 è valsa soprattutto la seconda opzione.

Guardando sotto questa luce le dinamiche in atto in Medio Oriente e in Ucraina descritte nei paragrafi precedenti, si deduce che la certezza che il mercato possa dirsi immune da improvvise impennate fuori controllo, come nel pieno della crisi dei prezzi tra 2021 e 2023, sia ancora troppo fragile, nonostante gli effetti benefici legati all’abbandono del gas a favore delle rinnovabili.

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